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sabato 10 novembre 2007

Un Matrimonio Pacifico

Metto come link al titolo un sito che illustra un convegno su sessualità e spiritualità, giusto perchè oggi questo convengo non ho trovato nessuno con cui andare a vederlo.
Ho tentato d'andare al cinema a vedere La Giusta Distanza invece, inseguendo un film che alla fine è sfuggito anche quello.
Il cinema Anteo è sempre troppo affollatto per me e Luna che arriviamo d'abitudine di fronte al botteghino a pochi minuti dall'inizio della proiezione del film.
Ma a qualcosa è servito, che la visione di un film che era interessante e avevo atteso, andasse a puttane. Ho potuto sentire finalmente le risposte di Luna, la sua voce che declinava le buone ragioni per cui secondo lui non vale più la pena di continuare a rincorrersi, verso un futuro di serenità che da lontano somiglia solo al fumo dei boschi incendiati di Capaci d'estate. Lasciarsi è una liberazione, gli ho strappato, fiera e amara.
E queste sono le ragioni di Luna, che sapientemente ho trascritto, perchè Luna è di poche parole, potrebbe non ripetersi ed io non posso correre il rischio di dimenticare la verità. Ecco, allora.

Ho già i miei genitori a cui pensare e tu sei un pensiero in più, per me. Non sono abituato a vivere in una relazione, ma ad essere single.
Sei una che cambia in fretta tu, mentre io sono come di legno.
Seguo la mia vita tranquilla, sono così anche al lavoro, che mi faccio portare dal trantràn. Non vado a cercarmi le sfide.
La relazione con te mi avrebbe fatto piacere trovarla come si trova una casa già costruita, con le mura portanti già in piedi, dove ci sia solo da imbiancare.
Al contrario tra di noi c'è da tirare giù un muro e di costruirne di nuovi. Anche se forse la felicità non coincide col vivere il più tranquillo possibile, tuttavia può darsi che essere felice sia avere un sorriso pieno e sereno anche nelle tribolazioni, come adesso mi manca con te.
Un mio grande desiderio è la pace, che accanto a te non sempre riesco a sentire.

Visto che al cinema non eravamo riusciti ad andare, abbiamo ammazzato il tempo e il nostro ultimo pomeriggio insieme, dando un'occhiata alla libreria dello spettacolo che fa parte dell'Anteo. L'ingresso è proprio accanto ai botteghini, quello con le maschere e le casse dove acquistare i biglietti per gli spettacoli.
Ho cercato tra gli scaffali un libro da comprare a Luna, che fosse come un addio, una specie di commiato al nostro amore sordomuto. Andavo alla ricerca di Frammenti di un Discorso Amoroso di Roland Barthes, ma il caso sa quel che non saprò e mi ha guidato lo sguardo su un alternativa migliore Un Matrimonio Pacifico di Doris Lessing.
Il premio Nobel alla letteratura del 2007 ha scritto il libro che parla di Luna e del suo sogno di unione nella pace, che gli auguro. Tieni custodita l'immagine di quella pace segreta come le tue montagne di neve, silenziosa, come il guardiano di un tempio sacro, Luna.
Io non l'ho mai vista, perchè per un anno di vita insieme è rimasta serrata a doppia mandata nella cassaforte blindata della tua lingua aggrovigliata intorno ad un eterno chewingum alla menta. E vorrei sussurrarti, Luna, da lontano, una racommandazione. Ogni tanto controllerai le tasche, non è vero?...non rischiare di perderla mai, Luna, quella chiave.

giovedì 24 maggio 2007

il naviglio della nostra città

Sul bordo del naviglio c'era una bambina assieme al padre, che le stava accarezzando un ginocchio, facendo un gesto come per scacciare un insetto che l'avesse appena punta sulle gambe.
Avrà avuto quattro o cinque anni e sembrava carina, ma non l'ho vista in viso, perchè teneva la testa chinata in avanti, per guardare la gamba su cui forse era stata punta, e aveva una frangia che le copriva tanta parte del viso, mentre era così china.
Pedalando in bici verso il ristorante, sentivo la tristezza scorrere quieta come quel naviglio, che è il più bello di Milano ed è un posto splendido da attraversare in bici. Erano già quasi le dieci ma non avevo ancora fame.
Anche tu li stavi guardando, stavi guardando la bambina, e poi hai guardato me, che ho sorriso appena, tenendo lo sguardo chino, perchè l'imbarazzo di incrociare i tuoi occhi era pesato più della voglia di condividere l'emozione in quel momento, e sarebbe andata avanti cosi, per il resto della sera.
Il padre doveva chiederle delle cose come ti ha punto qui?...fa male? perchè la vedevo annuire, mentre mi avvicinavo pedalando piano. Ho capito che dovevano essere stranieri solo dopo, quando passandogli accanto con la bici, finalmente potevo anche sentirli parlare.
Non ho riconosciuto la loro lingua, ma probabilmente erano turchi, a giudicare dal profilo del padre.
Abbiamo pedalato ancora fino al ristorante greco, senza parlarci fin quando mi hai chiesto a cosa stessi pensando, ma quelle che avevo in mente mi sembrava sarebbero suonate parole fuori luogo in una sera di addio, e ho scelto di non dire.
Del resto i pensieri mi morivano in bocca, non riuscivo a parlare.
Mentre non c'eri la tensione era stata orribile, come ortiche tra le lenzuola, ed ora l'emozione di averti accanto, dopo tanta attesa, mi aveva stordito e l’ostilità intessuta si stava sciogliendo in lacrime e lacrime, così tante che mi sembrava che avrei potuto continuato tutta sera, e poi ancora.
Ma mi era spiaciuto non averti risposto, ed ho tentato di riprendere la conversazione qualche istante dopo, anche tu eri emozionato però, mi sembrava, e di nuovo abbiamo lasciato cadere.
Così ho ripreso a guardare l’acqua del naviglio che modulava alla mia sinistra un paesaggio emotivo, come l’oceano di Solaris. Ogni increspatura e i raggruppamenti muschiosi di alghe sulla superfice dell’acqua declinavano la tristezza acquitrinosa della vita in una sera come quella, quando ormai è estate e il languore dell'aria umida pareva lì per noi, per propiziare la fine di una storia amore.
Sentivo che nonostante tutto ti amo e ti desidero ancora vicino. Nei lunghi silenzi di ieri sera facevo finta d’essere una strega e di saper trasformare la tua apprensione in voglia di amarmi, come volevo.
La mia magia cambiava le tue parole mentre le pronunciavi, trasformandole in quelle che desideravo potessi dire e poi, invece di hai freddo? avresti detto una cosa come vorrei fare l’amore.
E sai che avevo pensato? Che avendo una bambina piccolina come quella, poteva essere bello portarla mano nella mano a passeggiare in riva al naviglio, io e te, poi scacciare, dalle pieghe che le disegnino le gambe, una zanzara che le desse noia, tutto qui, come ora quella bambina e suo padre.

sabato 19 maggio 2007

un sordo e una cicala in balcone

Un volta dentro all'ufficio postale hai detto che ti sembravo distante e pure arrabbiata.
Forse lo ero, arrabbiata, e lo sono ancora.
Tanto che mi sveglio alle sette ancora incompiute di sabato mattina, quando potrei riposare, per dirti che me ne vado non da Milano, ma vado via da questa relazione, e da te.
Quando ti ho chiesto di non vedersi per qualche giorno, era perchè volevo capire di che cosa fosse frutto il senso di disagio che in quei giorni sentivo.
Non c'è una sola risposta, ma andarmene da te è una delle decisioni da prendere, da mesi, da quel primo giorno quando hai detto "sono vergine" e già sapevo che m'ero messa un'altra volta nei guai.
Mi dispiace, ma non riesco ad amarti per quello che sei, per questo me ne vado. L'arrabbiatura è irrazionale, e viene dal fatto che ho fallito tentando di cambiarti lungo questi mesi, con la dolcezza o la severità, dipende dai momenti.
Tu resti quello che sei. Sulla porta di casa ti chiedevo "non baciarmi su una guancia, mi sembra d'essere una cugina, baciami sulla bocca, per favore".
Ma non succede, che tu mi baci sulla bocca, sulla porta, quando arrivi, nè altrove.
A meno che non ti butti le braccia al collo, e non sia io a prenderti, abbracciarti, coccolarti per prima, fino a vincere il tuo distacco nei miei confronti.
Se sentirmi distante basta a farti piangere, per capire perchè scelgo d'andarmene, ti basterà pensare che mi strangola il cuore un disagio simile, quando mi sei accanto e non c'è una carezza, nè la voglia di avermi traspare da un gesto, nè dalle parole.
Ti lascio amandoti, perchè non riesco a vedere un futuro, in un amore che non ha passione, ma lo tengono in piedi solo l'affetto, e la comprensione vicendevole.
Tua madre dice che sono una che gli piacciono le coccole, vero.
E da quando ti conosco lo sono in modo più evidente, perchè mi sono messa a coccolare per due e a desiderare per due, un bacio, come una tua mano che mi accarezzi i seni, cose che restano nella mia immaginazione il più delle volte, in questo volersi bene fraterno e sterile.
E l'amore a letto lo trovi "solo scomodo" mi dici, non conoscendo il veleno che sono le tue parole distratte, sulle speranze, mie, di avere un giorno una vita d'amore normale insieme.
Ho tirato fuori tutte le magie che conosco, tutte quelle nel mio cappello, e la terapia di coppia era come un colpo di scena, in un gran finale.
Tu intanto te ne sei rimasto a guardare il fumo bianco che alzavo in scena, come uno spettatore seduto in platea, un pò incredulo, un pò disinteressato, come di fronte al desiderio e al piacere miei, quando siamo soli insieme.
Già...che te ne fai del mio ardore? Che se ne fa un sordo di una cicala in balcone?
Sono amara, perchè sento che non hai conosciuto e capito, non il mio dolore, che i dolori tu li sai sempre capire, ma il desiderio di noi vicini, che è diventato struggente, per non essere fiorito.
Hai detto in terapia che continuerai questo percorso rivolgendoti ad una persona di cui ti fidi. Temevo di aver capito a cosa ti riferivi. Fuori ti ho chiesto di spiegarmi di che si trattasse e hai risposto che di tanto in tanto - parlavi di vederlo una volta ogni tre mesi - avresti fatto due chiacchiere col tuo amico don giulio.
Se non fosse che conosco troppo bene il tuo candore, penserei che mi stavi prendendo per il culo.
E' ridicolo che tu pensi, chiacchierando un paio di volte l'anno col tuo amico don giulio, di risolvere la tua difficoltà nell'esprimere desideri e pulsioni sessuali, che si è cronicizzata nei quarantaquattro anni in cui pazientemente hai imbavagliato il soffio di ogni "pensiero impuro" che passasse a solleticarti l'animo tra le lenzuola.
E sono ridicola anch'io, che ancora desidero che tu possa essere diverso da come sei, un uomo, invece che un mezzo santo, che sulla porta mi baci come un uomo, non come un frate, che a letto sia com'è un uomo.
Dici di volere una famiglia, ma detto da te, suona un desiderio esotico, come di uno che di tanto in tanto sogni di lasciare la quotidianità in cui è calato, per vivere su un atollo da qualche parte solo in mezzo ad un oceano.
Questo desiderio esotico appartiene a mio padre, che infatti vive da sempre a trentacinque chilometri dal posto in cui è nato, e non se ne andrà. Ma è sintomatico, vero? Che una donna con un padre che ha fantasie d'eremitaggio, si innamori disperatamente di un uomo come te.
Non dirò altro che farei confusione, e spenderei troppe parole, mentre ne ho già dette tante in eccesso in questi mesi.
Ora che la curva delle occhiaie, allo specchio, si è allungata oltre gli zigomi, e riga le guance, ho voglia soltanto di fare colazione con un porridge tiepido, al miele.
Poi tornerò a dormire e curarmi come da una malattia, dall'amaro di questa resa battuta al computer.
E' la fine di un amore.

martedì 15 maggio 2007

amargo como ni siquiera veneno

Dire che non mi sento bene ultimamente, sarebbe fermarsi ad un passo prima di arrivare al vero.

La cuffietta sinistra dell'ipod s'è rotta ed ho smesso d'ascoltare musica se non a casa, quasi per protesta. Contro chi poi non lo so ancora, se non me stessa.

Sopporto solo il suono mortifero dell'organo sulla voce di Nico, niente più musica nuova, che fino a due settimane fa, scaricavo o ascoltavo avidamente su last.fm.

Ho mangiato oggi come se qualcuno mi avesse fato un'incantesimo e non avevo il potere di fermarmi dall'addentare qual pane azimo, di cui ho mandato giù tre fette, poi la cioccolata calda e un cilindro di biscotti, appena comprati al panificio e, oltre la porta di casa, già quasi finiti.

Ci penso e mi sento come un cassonetto dei rifiuti, non quello differenziato però, che ha ancora un futuro e speranza di servire a qualcosa, anche se con un altro aspetto e un nuovo nome.

Il mio ragazzo mi scrive adesso "Sei sempre di cattivo umore?". Ma mi chiedo che senso avrebbe dire di si, o dire di no, in un sms. Non mi vorrei incasinare in spiegazioni sterili, che non fanno bene all'amore e alla comprensione.

Allora gli scrivo che "finchè non sto meglio, vorrei che non ci vedessimo, perchè ho bisogno di riordinare la testa, e so d'essere indelicata a scriverlo per telefono, ma mi pare lo stesso di doverlo fare ora..."

E porto su in cima a quella salita da fare, una roccia più grande di me, col sudore e la sensazione di non saperci arrivare.

Una volta mi faccio male alla testa, mi pare d'impazzire, una volta mangio da stare male per zittire la disperazione, un'altra mi viene l'influenza, o la cistite emorraggica, o torna l'infezione del fungo della candida, a cui piace da quando sono adolescente potermi abitare.

Ma più o meno stanca e ammalata, ce la faccio ogni volta, e arrivo fino in cima spingendo davanti ai miei passi quella roccia che ha un diametro ingiusto per la forza dei muscoli che ho nelle braccia.

Arrivo lassù e, ogni volta, il masso infedele che ho portato in cima torna a scivolare dall'altezza di nuovo giù in pianura, ed è tempo per me di tornare giù e ricominciare a salire, non è previsto che ci si riposi qui, è sempre ora d'andare, perchè la roccia non stia mai sotto nè in cima all'altura.

"A milan se sta mai coi man in man" cantano questi cittadini assurdi e ammallati di depressione, e cantano il vero. Ne vanno fieri, mentre a me sembrano tanti criceti a correre in circoli dentro le gabbie, come la mia amica Gea che mi chiamava solo ogni due anni, ed ora al telefono mi fa che le restano 11 anni di vita, ha un tumore al midollo spinale.

Cosa devo dire, ad una che dopo la profondità di sentimenti di noi adolescenti, nel tempo è diventata quasi una estranea, per cui la carriera e uno status sociale, hanno
preso a contare progressivamente di più degli affetti profondi, dell'amicizia, persino di quelli familiari.

Che dire a Bio, se sento che la nostra relazione è una roba per intrattenersi a cena, e mi pare che si sia accesa di profondità solo a volte.

Come nel weekend in Veneto insieme, in cui a farci innamorare sono stati il silenzio e la condivisione di un letto a due piazze, trascorrere il pomeriggio di Pasqua stesi sull'erba a sentire il divino del sole sulla pelle e ascoltare i suoni degli insetti tra le foglie degli alberi da frutto dell'orto davanti casa.

Che siamo rimasti insieme finora solo perchè ho fatto il diavolo a quattro perchè facessimo l'amore, trascinandoci in terapia di coppia e ingegnandomi per accendere un ardore che è nato spento, sotto una coltre di pregiudizi religiosi inghiottiti come una piccola, senza masticare.

Non ti toccare, non masturbarti, non fare l'amore se non per procreare.

Mi fa schifo questa chiesa cattolica che genera aridità dove potrebbe esserci amore, che manifesta per mettere fuori legge i gay, che hanno la colpa d'amarsi e voler stare insieme.

Cristo stava coi perseguitati, Ratzinger coi perseguitatori, e il mio ragazzo usa la foto di Prosperini come avatar del suo account messenger, facendomi venire il male di vivere, il male d'amare.

Ma quando cavolo è cominciata questa discesa agli inferi. Dopo che i miei sono andati via, mi pare, dopo che di nuovo è crollato il sogno di poter star bene dove sto, nella relazione algida del presente, dopo che è svanita anche l'idea profumata di fresie di potermene andare da questa Milano già da settembre, tornare a respirare.

Non c'è possibilità per me di riuscire a lavorare l'anno prossimo a Siena, servirebbe ro le scuole di specializzazione.

E ormai all'idea di dover fare questo mestiere, mi ci sono arresa, non ho i coglioni per trovarmi un lavoro attinente al mio curriculum vitae, al mio master che per l'impegno economico e lo stress affrontato, quasi mi costava la salute mentale.

A settembre mi iscriverò ai corsi per iniziare ad omologare il mio percorso formativo a quello di un'insegnante che questo mestiere non lo faccia per non annoiarsi, ma perchè ha altro da pagarsi da vivere, e le risorse per ritargliarsi un possibile altrove, ora che la paura della malattia l'ha resa una codarda, non le sa trovare.

La determinazione di perdere due kg prima dell'estate, anche quella sembra volata via ora, che da tre giorni mangio male ed è tornata dormiente la lucidità degli ultimi mesi, - di febbraio, marzo e aprile - che mi faceva fermare un attimo prima di aprire la credenza, per prendere in mano la penna e mettermi a piangere, quieta, nello scrivere.

Si sbagliano quelli che leggono la tristezza esistenziale dei miei post come un segno di malessere. Scrivevo di robe tristi, settimane fa, ma avevo la pace nel cuore, mi esprimevo compiutamente, sapevo vivere nei miei panni e guardare il passaggio vorticoso dei miei pensieri senza lasciarmi intossicare.

Ora sono intossicata invece, ora che sono arrabbiata, amarreggiata, sconfitta, confusa, che non ho voglia di fare, di amare e di sperare. Intossicata dalla cioccolata e dai silenzi, dall'overdose di zuccheri complessi nei carboidrati che ho mandato giù oggi come fossero una maledizione.

Sono stanca della leggerezza bionda di Pauline, che da qualche giorno evito, perchè sono come arrabbiata con lei, che tra due settimane se ne tornerà nei Paesi Bassi, mentre io resterò da sola in questa casa del cazzo ancora un altro mese.

Ma forse no. Finirà che me ne vado anch'io, il 30 giugno come lei, e altro che cercare lavoro qui e menate. Me ne voglio solo tornare a casa, che sono stanca pure di chiudere a chiave la porta e me ne frego se è una citàà pericolosa quella in cui mi tocca vivere.

Suono orribile, lo so, così è, quando la luna mi gira male.

sabato 5 maggio 2007

illuminazioni

Quella della prima comunione di Maru è stata una giornata speciale, sapeva di completezza. Era stata thought provoking l'omelia del prete e l'avevo ascoltato con interesse mentre tenevo per una mano bio e faby per l'altra.

Non mi sentivo fuori posto nonostante l'ortodossia nella religione cattolica mi sembri pericolosa e mi fa diffidare.

L'indomani mi sono svegliata pensando che avere i miei familiari intorno mi mette ordine nella testa, come se i contorni della mia identità si definissero, nitidi.

Sedevo al tavolo della festa - al ristorante di Novate dove mia sorella aveva prenotato per il pranzo dopo la celebrazione - con un languore poggiato sulle palbebre, che modulava le pause della conversazione ed ero così affettuosa con bio quel giorno della prima comunione di mia nipote.

Lo baciavo spesso o lo prendevo per mano, perchè mi era mancato mentre era in Veneto, questa è la prima volta che è stato via quattro giorni avevo detto a mia sorella maggiore, ma lei aveva risposto sorridendo che ero appiccicosa, e aveva ragione, perchè mi tenevo a lui come uno scimpanzè afferrato al ramo e non lo sapevo evitare.

Poi nelle lenzuola tra cui sono ritornata stamattina dopo colazione, è passato in mente un pensiero come una nuvola che si muova svelta e sia diretta altrove. Era un pensiero che echeggiava una frase di Lewis, che mi aveva fatto commuovere tra te e l'amore c'è una distanza che senti di dover colmare.
Mi viene da dover amare per due, se uno legge il giornale, mi tiene a distanza...e mentre lo scrivo i ricordi di mio padre e mia madre mi inciampano i pensieri, non so più cosa volevo dire.

Mio padre è un uomo mite, mi ha detto bio, io penso che abbia ragione, come penso che non mi faceva sentire amata quest'uomo che non parla abbastanza, perchè sceglie di non condividere emozioni e pareri.

Dopo pranzo si spostava lento dalla cucina dove noi chiacchieravamo animate, per andarsene da solo di là in soggiorno a leggere un quotidiano e sonnecchiare, dentro al suo guscio come una lumaca nera che scivoli sul terreno umido dopo la pioggia, senza fare rumore.

So che mi ama profondamente, ne sono certa anche di bio, ma stamattina l'illuminazione su una nuvola di passaggio mi ha sussurrato in un orecchio che non dovrei sentirmi in colpa per volere di più da una relazione.

Perchè c'è un amore che non passa, che non si sente come l'affetto ridondante di Jamie in Shortbus che "si ferma sulla pelle e non riesce ad entrare", e somiglia tanto all'amore che mi dai, ed ora mi viene in mente che mio padre non mi ha abbracciata forse mai, tenuta stretta voglio dire.

C'è un'immagine che conservo in mente, di me quando gli gettavo le braccia al collo per farmi stringere e lui mi faceva il solletico perchè lo lasciassi andare. Mi sentivo respinta.

Ed ora, mentre cat power mi fa l'amore con quella voce, come una donna, con devozione e come gli uomini spesso non lo sanno fare, mi chiedo se la scelta d'amare bio possa venire dalla voglia di imparare a sentirmi amata anche senza essere sommersa sotto un mucchio di coccole, come facevano con me mia sorella e mia madre.

Al contrario dell'asciutto che era relazionarsi con nostro padre, tra di noi donne in casa, quelle c'erano più del necessario e pareva che se per un momento si fossero interrotte, l'affetto che ci legava dovesse naufragare, ed erano dettate dall'ansia, più che dall'amore, come le mie nei confronti di bio il giorno della prima comunione.

Forse vorrei poter insegnare a bio ad amare anche ad alta voce, mentre da lui imparerei volentieri l'amare sotto voce senza dovermi sentire in difetto, come mi è capitato di sentirmi in difetto nei confronti di mia sorella qualche settimana fa, pensando di non esserle stata abbastanza vicina, da quando col marito c'è stata una separazione definitiva.

Casa aveva le ombre e i contorni spigolosi de il gabinetto del dottor caligari, dove un atteggiamento conviveva litigiosamente col suo contrario, come se mio padre fosse la malattia di cui mia madre era la cura, e mia madre la malattia di cui è cura mio padre.
Da bambina li guardavo ed erano come in uno specchio rovesciato, uno accanto all'altra in bilico come equilibristi sugli spazi vuoti che mia madre voleva, e non sapeva, riempire.

Lei che è cresciuta in una famiglia in cui erano in nove, un gineceo di donne che l'amavano e di cui lei era la più piccola, a cui si dava tanto, chiedendo in cambio poco. Ma come ha fatto ad innamorarsi di un'uomo così, una donna come lei? Non lo saprei dire.

Quando stavano per separarsi - io ero alle medie - non capivo che ci facevano insieme e non mi dava pace, con la stessa intensità con cui oggi, che sono quasi trentenne, non so trovare pace in una relazione.

La dottoressa Cassano ha spostato la seduta di questa settimana e l'effetto si sente delle emozioni che non trovano un approdo in cui attraccare.
Sono qui che annaspo nel desiderio di un dialogo che non so articolare se non di fronte ad un volto di donna amico, troppe emozioni non dette in circolo e sto scrivendo male.

domenica 15 aprile 2007

bento sushibar

domenica pigra che neanche un ameba, mio malgrado. Il giro in fiera del commercio equo e Still Life da vedere al cinema sono saltati, perchè in entrambi i casi ci siamo dati una mossa tardi rispetto agli orari.

E allora il racconto di questa domenica, mettendo tutto insieme, sta sul palmo della mano. In piedi a mezzogiorno, dopo colazione e una doccia rapida ho pedalato per andare a pranzo da Matthew & Joan, pasticcio di polenta e salmone al forno nel menu.

Al pomeriggio, mentre leggiucchiavo il corriere, Bio ed io ce ne stavamo a scambiarci carezze distratte, stesi sul divano e si è guardata in TV la corsa ciclistica, la Paris- Roubaix, fino alla vittoria dell'australiano.

Poi giro in bici, fino in fiera del fair trade, si era deciso, ma chiudeva in anticipo rispetto alle nostre previsioni, e ai ritmi lenti della domenica pure.

Pedalando lungo la ciclabile che corre accanto al naviglio, abbiamo raggiunto il centro per un gelato che Bio ha mangiato da solo, perchè non avevo voglia, alle prese com'ero, ancora, con il tentativo di mandar giù la cena di Nimah della sera prima.

Nimah è vegetariana, dunque si era mangiato sano, verdure crude, legumi, houmous, ancora verdure miste al forno e una pastry vegetale, ma devo aver esagerato con le quantità, perchè ci sono stata male oggi e da ieri sera, al ritorno a Milano.

Abbiamo posteggiato le bici in porta Garibaldi per un happy hour veloce prima del cine e più degli altri ci è piaciuto il sushi-place, Bentobar, dove infine siamo entrati perchè verdure miste, riso, pesce crudi e un drink, per 8 euro non sembrava niente male.

Era un buono aperitivo infatti, se non fosse che a servirci i drink ci hanno messo una vita e il film in Anteo era già iniziato da un pezzo quando siamo usciti.

Peccato, perchè era già saltata la fiera, e ora - pensavo - se ne volava via anche la seconda chance di dare alla giornata un sapore intenso, riempirla con un ricordo che fosse speciale. Se ne è parlato.

Passeggiando lungo corso Como, dopo la cena, ho avuto la sensazione d'aver detto troppo in quelle ultime ore e senza le pause della cui importanza nella comunicazione la dottoressa Copa mi aveva convinta, menzionandole a proposito di una lezione in classe, ma non solo.

Mi ha riaccompagnata a casa in bici e sotto al portone, prima d'andare, Bio ha detto che non la pensava così e gli era sembrata ugualmente una domenica da ricordare.

martedì 3 aprile 2007

Il mestiere di Marie Antoinette

Mia sorella e madre supplente - che quella di ruolo aveva altro per la testa, sempre - s'è ritrovata incinta, ventenne. Da poco ero adolescente e avevo in cantina roba infiammabile, messa da parte masticando conflitti come chewing gum sul divano-letto di casa, nei pomeriggi di noia

Poca roba di fronte alle stragi da suicidi eroici del terrorismo, ma è stata la mia tragedia segreta, come un lutto, la fine improvvisa di un rapporto che era il solo, e di una serenità che era già labile in casa da quando, undicenne, inizio a ricordare.

Da quei giorni in cui sono inciampata per le prime volte nei disturbi alimentari, indosso sopra ai vestiti come un grembiule, un aspetto insolito, "sei incinta?", mi chiedono, perchè ho maturato un sovrappeso singolare, accovacciato testardo sul mio ventre, mentre il resto del corpo resta neutrale.

E da quei giorni brandisco il sovrappeso come un'apologia buona per giustificare i fallimenti nelle relazioni, come nei rapporti sociali. Se qualcosa non funziona l'aspetto goffo è l'handicap su cui scaricare la responsabilità di ciò che non so fare, come trovarmi un lavoro che mi piaccia davvero e stare da sola, serena, quando a tenermi compagnia non ci sia una relazione banalmente felice.

Che pantomima buffa ho inscenato, camuffandomi da madre e chissà se cercavo di dirmi qualcosa, o più probabilmente di dirlo a qualcuno che mi stava intorno, e non voleva saperne di ascoltare. Sunti noiosi di psicoterapie rabattate, che racconto a me stessa o da un paio d'anni ad un terapista che mio malgrado continua a cambiare.

Così è cominciata tanta parte di una storia di donna mancata, che si aggomitola dentro a rapporti marsupiali. Questa storia, di effe e mia, sembra un romanzo di formazione, dove il mio compagno è un genitore premuroso. Dentro al bozzolo di placenta in cui mi tiene custodita posso affinare la maturità e la femminilità incerta, mentre già sogno di come sarà quando, falena compiuta, potrò venir fuori dal guscio di calcare per volare al buio di notte, senza tremare.

Le cose stanno cambiando ora, che sono in cura da una dietologa con un nome speciale. Sto perdendo peso lentamente e in modo sano sto rieducandomi al cibo come piacere e non come dolore. Quando mi sentivo miserabile, mangiare troppo e male, da avere i crampi allo stomaco per giorni avvenire, era un abitudine fin da quando mia sorella incinta se n'è andata da casa, anche se nella routine si alternavano picchi di intensità a momenti di pace.

venerdì 2 febbraio 2007

un'erba medicinale

Giovedì [che non era che ieri] in visita da Anna, si è sciolto un nodo in gola che le incomprensioni cronicizzate avevano piantato lì, stabile. Relazionandomi con te, il non capirsi mi aveva reso amara nelle ultime settimane, mentre i sentimenti facili, ora sono diventati ritrosi.

Perchè ho scavato fondamenta alte sotto al mio rifugio, e l'ho coperto con teloni in cerata impermeabile per ripararmi dai tuoi sguardi acquosi. E così, in quel corridoio scoperto, fuori da me e dagli spazi di noi due, dove non siamo entrati, ora c'è una palafitta, che abito da sola.

Anna ha detto che vorrei avere una vita affettiva piena e la lettura chiara del suono imbavagliato della mia voce, nella copia di lacrime...mi ha dato conforto. "Vorresti avere una vita affettiva piena, ma è un desiderio inappagato, che ti fa piangere un pò..." ha detto.

E sembrava che il diritto di dire "non sono felice" l'avesse avvicinato finalmente alle mia dita, inquiete dentro agli anelli d'argento, benefica come una tazza di te caldo e miele, quando la gola ti fa male.

mercoledì 31 gennaio 2007

tardo pomeriggio

Puntuale arriva la giornata di malumore selvatico, in un tardo pomeriggio come questo, che mi fa male il ginocchio e sono a casa da sola perchè le inquiline sono entrambe andate via...mi piacerebbe dire, "perchè non vieni da me a vedere un film?"

E le carinerie ormai mi muoiono in bocca, o forse prima...già nel cuore, perchè non attecchiscono, se quando dico "sarebbe bello poter dormire insieme, ogni tanto..." mi guardi con gli occhi sbiaditi. Non mi riesce di dedicarmi alla pila di scartoffie che aspettano sulla scrivania, e nella testa...mi sento esausta, perchè ho dormito poco, e sto per avere il ciclo.

Un articolo sulla repubblica di oggi, spiegava i meccanismi del "rimandare a domani" o non si ha fiducia nel buon esito di ciò che dovresti star facendo adesso, o solo i piaceri immediati che la tecnologia ti mette a portata di mano, non li sai resistere.

E così è, forse un cocktail delle due. Controllo le email, bloggo senza troppa ispirazione...e ho fatto fuori 4 fette di pane e nutella, tanto per confermare la solita vecchia equazione che la cioccolata fa da psicofarmaco placebo quando stai male...salvo il senso di colpa del post stomaco pieno.

domenica 28 gennaio 2007

milano-bologna

Affondo il naso nel tuo maglione
di lana azzurra, mentre dormi
e la pianura scorre monotonale
verde, e sto ascoltando
una musica strumentale,
dove chitarra elettrica
e piano si scambiano note
sobrie e brillanti
come le pagine
di un racconto contemporaneo.

Durutti Column. Dormi tu,
su un treno, in viaggio
fino a Bologna.
Ed io appoggio la testa
sul tuo braccio di uomo
pensando che, se potessi,
dormirei le mie notti, tutte,
con te accanto...e mi sveglierei felice.

La sveglia del telefono suona
mentre ti cerchi in tasca
per pigiare okay e poterlo zittire
non scriverò più
hai gli occhi aperti ora.

giovedì 18 gennaio 2007

Restyling

Abbiamo due modi divergenti di vivere l'amore,
io e te..."Ti stai riorganizzando"
Serena dice, ma sai
anch'io, faccio la stessa cosa

Dopo aver battuto la testa per quattro mesi,
come un ariete, da settembre.
Sempre contro le stesse porte chiuse,
delle stanze che non apri

Ora anch'io modello da capo
Il significato che dò alle parole
"vita di coppia"
che ha altre sfumature ora,
una forma nuova...