giovedì 24 maggio 2007

il naviglio della nostra città

Sul bordo del naviglio c'era una bambina assieme al padre, che le stava accarezzando un ginocchio, facendo un gesto come per scacciare un insetto che l'avesse appena punta sulle gambe.
Avrà avuto quattro o cinque anni e sembrava carina, ma non l'ho vista in viso, perchè teneva la testa chinata in avanti, per guardare la gamba su cui forse era stata punta, e aveva una frangia che le copriva tanta parte del viso, mentre era così china.
Pedalando in bici verso il ristorante, sentivo la tristezza scorrere quieta come quel naviglio, che è il più bello di Milano ed è un posto splendido da attraversare in bici. Erano già quasi le dieci ma non avevo ancora fame.
Anche tu li stavi guardando, stavi guardando la bambina, e poi hai guardato me, che ho sorriso appena, tenendo lo sguardo chino, perchè l'imbarazzo di incrociare i tuoi occhi era pesato più della voglia di condividere l'emozione in quel momento, e sarebbe andata avanti cosi, per il resto della sera.
Il padre doveva chiederle delle cose come ti ha punto qui?...fa male? perchè la vedevo annuire, mentre mi avvicinavo pedalando piano. Ho capito che dovevano essere stranieri solo dopo, quando passandogli accanto con la bici, finalmente potevo anche sentirli parlare.
Non ho riconosciuto la loro lingua, ma probabilmente erano turchi, a giudicare dal profilo del padre.
Abbiamo pedalato ancora fino al ristorante greco, senza parlarci fin quando mi hai chiesto a cosa stessi pensando, ma quelle che avevo in mente mi sembrava sarebbero suonate parole fuori luogo in una sera di addio, e ho scelto di non dire.
Del resto i pensieri mi morivano in bocca, non riuscivo a parlare.
Mentre non c'eri la tensione era stata orribile, come ortiche tra le lenzuola, ed ora l'emozione di averti accanto, dopo tanta attesa, mi aveva stordito e l’ostilità intessuta si stava sciogliendo in lacrime e lacrime, così tante che mi sembrava che avrei potuto continuato tutta sera, e poi ancora.
Ma mi era spiaciuto non averti risposto, ed ho tentato di riprendere la conversazione qualche istante dopo, anche tu eri emozionato però, mi sembrava, e di nuovo abbiamo lasciato cadere.
Così ho ripreso a guardare l’acqua del naviglio che modulava alla mia sinistra un paesaggio emotivo, come l’oceano di Solaris. Ogni increspatura e i raggruppamenti muschiosi di alghe sulla superfice dell’acqua declinavano la tristezza acquitrinosa della vita in una sera come quella, quando ormai è estate e il languore dell'aria umida pareva lì per noi, per propiziare la fine di una storia amore.
Sentivo che nonostante tutto ti amo e ti desidero ancora vicino. Nei lunghi silenzi di ieri sera facevo finta d’essere una strega e di saper trasformare la tua apprensione in voglia di amarmi, come volevo.
La mia magia cambiava le tue parole mentre le pronunciavi, trasformandole in quelle che desideravo potessi dire e poi, invece di hai freddo? avresti detto una cosa come vorrei fare l’amore.
E sai che avevo pensato? Che avendo una bambina piccolina come quella, poteva essere bello portarla mano nella mano a passeggiare in riva al naviglio, io e te, poi scacciare, dalle pieghe che le disegnino le gambe, una zanzara che le desse noia, tutto qui, come ora quella bambina e suo padre.

1 commento:

Anonimo ha detto...

"facevo finta d’essere una strega e di saper trasformare la tua apprensione in voglia di amarmi, come volevo."

Molto bello...

Ondine