sabato 19 maggio 2007

un sordo e una cicala in balcone

Un volta dentro all'ufficio postale hai detto che ti sembravo distante e pure arrabbiata.
Forse lo ero, arrabbiata, e lo sono ancora.
Tanto che mi sveglio alle sette ancora incompiute di sabato mattina, quando potrei riposare, per dirti che me ne vado non da Milano, ma vado via da questa relazione, e da te.
Quando ti ho chiesto di non vedersi per qualche giorno, era perchè volevo capire di che cosa fosse frutto il senso di disagio che in quei giorni sentivo.
Non c'è una sola risposta, ma andarmene da te è una delle decisioni da prendere, da mesi, da quel primo giorno quando hai detto "sono vergine" e già sapevo che m'ero messa un'altra volta nei guai.
Mi dispiace, ma non riesco ad amarti per quello che sei, per questo me ne vado. L'arrabbiatura è irrazionale, e viene dal fatto che ho fallito tentando di cambiarti lungo questi mesi, con la dolcezza o la severità, dipende dai momenti.
Tu resti quello che sei. Sulla porta di casa ti chiedevo "non baciarmi su una guancia, mi sembra d'essere una cugina, baciami sulla bocca, per favore".
Ma non succede, che tu mi baci sulla bocca, sulla porta, quando arrivi, nè altrove.
A meno che non ti butti le braccia al collo, e non sia io a prenderti, abbracciarti, coccolarti per prima, fino a vincere il tuo distacco nei miei confronti.
Se sentirmi distante basta a farti piangere, per capire perchè scelgo d'andarmene, ti basterà pensare che mi strangola il cuore un disagio simile, quando mi sei accanto e non c'è una carezza, nè la voglia di avermi traspare da un gesto, nè dalle parole.
Ti lascio amandoti, perchè non riesco a vedere un futuro, in un amore che non ha passione, ma lo tengono in piedi solo l'affetto, e la comprensione vicendevole.
Tua madre dice che sono una che gli piacciono le coccole, vero.
E da quando ti conosco lo sono in modo più evidente, perchè mi sono messa a coccolare per due e a desiderare per due, un bacio, come una tua mano che mi accarezzi i seni, cose che restano nella mia immaginazione il più delle volte, in questo volersi bene fraterno e sterile.
E l'amore a letto lo trovi "solo scomodo" mi dici, non conoscendo il veleno che sono le tue parole distratte, sulle speranze, mie, di avere un giorno una vita d'amore normale insieme.
Ho tirato fuori tutte le magie che conosco, tutte quelle nel mio cappello, e la terapia di coppia era come un colpo di scena, in un gran finale.
Tu intanto te ne sei rimasto a guardare il fumo bianco che alzavo in scena, come uno spettatore seduto in platea, un pò incredulo, un pò disinteressato, come di fronte al desiderio e al piacere miei, quando siamo soli insieme.
Già...che te ne fai del mio ardore? Che se ne fa un sordo di una cicala in balcone?
Sono amara, perchè sento che non hai conosciuto e capito, non il mio dolore, che i dolori tu li sai sempre capire, ma il desiderio di noi vicini, che è diventato struggente, per non essere fiorito.
Hai detto in terapia che continuerai questo percorso rivolgendoti ad una persona di cui ti fidi. Temevo di aver capito a cosa ti riferivi. Fuori ti ho chiesto di spiegarmi di che si trattasse e hai risposto che di tanto in tanto - parlavi di vederlo una volta ogni tre mesi - avresti fatto due chiacchiere col tuo amico don giulio.
Se non fosse che conosco troppo bene il tuo candore, penserei che mi stavi prendendo per il culo.
E' ridicolo che tu pensi, chiacchierando un paio di volte l'anno col tuo amico don giulio, di risolvere la tua difficoltà nell'esprimere desideri e pulsioni sessuali, che si è cronicizzata nei quarantaquattro anni in cui pazientemente hai imbavagliato il soffio di ogni "pensiero impuro" che passasse a solleticarti l'animo tra le lenzuola.
E sono ridicola anch'io, che ancora desidero che tu possa essere diverso da come sei, un uomo, invece che un mezzo santo, che sulla porta mi baci come un uomo, non come un frate, che a letto sia com'è un uomo.
Dici di volere una famiglia, ma detto da te, suona un desiderio esotico, come di uno che di tanto in tanto sogni di lasciare la quotidianità in cui è calato, per vivere su un atollo da qualche parte solo in mezzo ad un oceano.
Questo desiderio esotico appartiene a mio padre, che infatti vive da sempre a trentacinque chilometri dal posto in cui è nato, e non se ne andrà. Ma è sintomatico, vero? Che una donna con un padre che ha fantasie d'eremitaggio, si innamori disperatamente di un uomo come te.
Non dirò altro che farei confusione, e spenderei troppe parole, mentre ne ho già dette tante in eccesso in questi mesi.
Ora che la curva delle occhiaie, allo specchio, si è allungata oltre gli zigomi, e riga le guance, ho voglia soltanto di fare colazione con un porridge tiepido, al miele.
Poi tornerò a dormire e curarmi come da una malattia, dall'amaro di questa resa battuta al computer.
E' la fine di un amore.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Per questo t'amavo.
Lascia andare, tesoro, lascia andare...

A.