venerdì 10 agosto 2007

Agosto

Agosto (05-08-2007)

L’amica in una stanza d’amianto
poeta della città dove i rami di fico
crescono tra macchine sceniche arrugginite
chiedeva di scrivere cinque parole
agli abitanti di luglio
me e la sorella che ho ritrovato
nell’estate senza riposo,
ora che Gebel è l’altura, è stata la sola,
e Sisifo è donna, io, il difensore.

Lei le infradito azzurro sbiadito,
vecchi jeans come shorts
fumo nella veranda
e le sfilature ricadono sulle cosce,
brune dal sole.

Ho occhiaie marcate,
da quando lavoro al festival
accanto a chi rema sulle rapide della vita
con tenacia leonina
nelle tasche di Sisifo
se appartiene ad un altro
la roccia che monta l’altura audace.

Alle sue spalle come una vetta,
stanno il carisma ermafrodito
la disapprovazione per il compenso mancato
la fiamma labile sotto lo scirocco
di chi non vuol bene generosamente
e desidera un ritorno.

Ma le parole non sono dita
colano acquee da una sola mano
intanto che i passi raggiungono i lampioni
con un bikini rosso
legato da lacci sui fianchi
come un mistero l’umore secreto
ha lo stesso colore sanguigno
stanchi i capelli crespi e i muscoli sono farina
dei giorni fecondi e di sale.

Era lo scorso luglio quando Teodora
promise un’identità sicura dentro lo scrigno-corpo
e la seguii indietro, sui passi della ragazza
- indossava righe verdi - quattordici anni
e c’era chi le era sorella ancora.

Febbraio diede il terzo figlio, una femmina,
dietro le spalle aveva ali di un albatross
l’onta, l’arresto, le nozze osteggiate
erano la maledizione
simile al racconto del vecchio marinaio.

Era agosto di un talleur scollato a barca
moschino, nella chiesa tra i petali e il riso
come una madre lei era bianca,
col trucco disfatto
e il lutto che presentivo.

Col manico di una forchetta d’inverno
la nausea ed il pranzo nella mezzaluna
beige e la gola che raschiava acida
poi smisi, mi ero innamorata.

Le domeniche a tavola c’erano gorghi di solitudine
c’erano un secondo e il dessert
come le sere d’estate a Milano
rane che gracidano sulla Martesana
e il resto dei giorni il digiuno.

Il padre, Antonio, disse senza capire
il giorno che affacciati sul tetto della casa vicina
in disagio, stavo come oltraggiata
crebbe il ventre quando smisi,
come un’allegoria della madre mancata.

Mi aspettava oltre il chiostro di un ex-convento
una donna trascurata, portava i capelli corti
la madre col grembo rigonfio, quella di giochi e cure
entrambe erano rimaste indietro.

Raccontavo come il vecchio marinaio
la vita rimasta in attesa
l’astinenza e l’assenza, il divano svuotato
dai pomeriggi al collo di una bottiglia
appesa alle note di una brutta canzone.

Aveva bussato indolente alla porta umida
chi mi amava solo tra gli alberi
respiravo 1984, come sali da bagno,
disciolta la fiducia in un altrove politico
la terra pareva avesse una cicatrice quel giorno
sull’avambraccio destro, l’altra stava su un fianco.

Ma l’amica, il poeta, lei non ascolta ciò che è già finito
chiede dell’oggi come un anello da indossare
stasera in un salotto liberty, dimesso, ospitale.

E’ agosto di ferro e di vento
una donna infine e una chance
al paese che è in festa
abiti come un kimono indosso al poeta
la casa aveva il nome della notte di stelle
lei celebrava un finale, con la guepiere nera.

Ora i suoi versi raccontano
magistrali quanto un ricamo
sulle pagine di ruggine, un’identità sapida
carica come in sicilia, d’estate, i frutti del fico.

Gli amanti gemelli chiacchierano in segreto
in accappatoio, senza una fotografia,
un souvenir che il resto dei giorni
sostenga la resa accigliata sulle lenzuola
una volta, due volte le dissi
che di stelle l’altura di Sisifo ne accoglie una
e a lui, seduti al tavolo del primo appuntamento
con l’emozione riflessa dal vino
sulla punta delle dita.

C’era un tramonto sanguigno sulle colline,
decine di pale eoliche sullo skyline
lungo la strada per il mare
il giorno della lite.

E assomiglia alla madre coi capelli di lino
tuo padre, spirito affine che specchia l’incertezza
come abitanti della stessa isola
stiamo al riparo del rimprovero
per i sogni pavidi, che insegnare addolora
d’estate evapora l’autorità
come succo di limone greve
la notte di San Lorenzo per ogni stella
c’era in serbo il desiderio
che la digressione sia assunto.

E la città di ruggine festeggia nel vento,
il sole e i rifiuti paganamente,
Sisifo è una terra di mezzo
tra la comunità che viene e i fratelli di ferro
la ruggine da video-documentare
nel salotto di chi non governa
e serba la città nel cuore.

Le notti d’agosto finiscono al mattino
senza le stelle negli occhi, anni quanti i veli di maya
tace la notte di vino e aneddoti che raccontiamo
più di mille come Sheherazade.

5 commenti:

ignipott ha detto...

...saluti e complimenti...

ignipott.blogspot.com

Anonimo ha detto...

wow..che densità,madame...
il poeta

Anonimo ha detto...

perché il vecchio marinaio?

Gianluca ha detto...

tornato alla base per un paio di giorni affannati, ho solo potuto scorrere rapidamente il tuo nuovo post, ma felice che tu abbia scritto. diamine, potevi spezzettarlo così mi sarei sentito meno in colpa...a presto cara...g.

Gianluca ha detto...

ah...e ti pareva che non avresti ancora cambiato titolo al blog...il titolo al link che ho scelto è azzeccatissimo!