Stanotte, in un incubo orribile, prendevo parte ad una riunione tra parlamentari che si teneva in una stanza interamente bianca. Noi, i partecipanti, stavamo seduti su divani anch'essi bianchi, disposti circolarmente.
Si accedeva alla sala bianca da un ingresso che riconoscevo come quello della vecchia casa popolare, dove ho vissuto per quindici anni con la mia famiglia.
C'era un dibattito in corso, il cui oggetto era forse la violenza sulle donne o qualcosa di drammatico che le riguardava.
I parlamentari partecipavano con interventi ragionati, dal tono grave, tutti. Uno solo non ascoltava, non interveniva neppure, e raccontava storielle grottesche ad un altro di noi - mimandole a volte in piedi e ridendo con voce grassa - per tutto il tempo in cui era in corso la discussione.
Quello che se ne infischiava della gravità degli altri - se la spassava a esibirsi e a raccontare - quello, era Silvio Berlusconi e l'altro, quello che dava ascolto alle sue storielle da varietà, era mio padre.
L'imbarazzo mio era grande, come mai, e, come per compensare il torto di mio padre, cercavo di sostenere il dibattito con parole profonde e nuove.
Intanto che Silvio Berlusconi faceva il buffone e se la rideva grottescamente, mio padre lo ascoltava poco convinto, sorridendo imbarazzato, tra i denti, per buona educazione.
Guardavo verso di lui e gli rivolgevo un rimprovero tacito, nei miei interventi assumevo un tono ancora più teso e grave.
Avrei voluto che capisse che era il caso di isolare quell'uomo triste, che la condotta rumorosa e burlesca, in quel momento, rendeva irrispettoso del dibattito e delle parole altrui.
Usavo sguardo e voce, perchè mio padre capisse che era il caso si unisse al dibattito tra di noi, ma lui guardava in basso, finchè - incapace di porre un rimedio - l'imbarazzo mio è diventato vergogna. Mi sono svegliata, affranta.
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