Alle vernici delle mostre di giovani emergenti a cui mi capita d'andare, come da aus18, ieri sera, ci incontro quelli che uno è un artista anche se in tutta la vita ha partecipato a due mostre soltanto, magari collettive.
In questo ambiente mi presento - e senza imbarazzi, dopo il secondo bicchiere di vino - non più come nel 2004, come un critico di exibart, ma come scrittrice di un blog che edito con la serietà con cui si scrive un romanzo, un racconto da pubblicare.
Anche se sono agli inizi di un percorso, come loro alle prese con le prime pitture, mi sento tra loro una pari, una che ha creatività da mettere in gioco e ci prova, tra le insicurezze e il senso di inadeguatezza, a declinare l'unicità del suo nome.
Quando mi dicevo una critica d'arte mi pareva di stare occupando un posto non mio, perchè profondamente non mi interessava l'arte figurativa, quanto scrivere, e l'arte andava bene solo come un espediente per poterlo fare.
Ho smesso di sputare giudizi feroci, ora che svalutare i tentativi di chi non sa ancora fare bene, non è più l'argomento principe di queste serate.
In una mondanità leggera, ora non mi sento divisa, ora che confluisce il mio vissuto di desideri e tensioni, nella persona sociale, e se ci ripenso mi vedo calata nel presente, durante le conversazioni, il mio essere lì ha un'intensità che non sentivo quell'estate.
Dai vernissage come questo torno a casa serena, perchè da quando ho scelto di lasciarmi essere un'artista mediocre, anch'io, lasciando agli altri di poter giudicare, sono me stessa non solo più nell'intimità di un rapporto a due, ma nella vita sociale.
E sto ritagliando uno spazio che per quanto sia piccolo, tuttavia corriponde alla mia identità in modo profondo, me stessa come da adolescente mi figuravo solo al di qua della porta della mia camera.
Perchè il giudizio degli altri era come fossero botte su una pelle sensibile, e allora lasciavo ad ingrassarsi delle lodi e le cordialità ambigue un'identità che era come un premio di consolazione sul podio, sapeva di amaro, e non arrivava mai al cuore, non sapeva entrare.
Perchè hanno a volte un rapporto ambiguamente cordiale, critico e artista, si cercano e si temono in misura uguale ed io mi muovevo goffa in questo balletto, sapendo chiaramente che era dall'altra parte che non avevo il fegato di danzare.
L'amarezza del dover giudicare l'ho bevuta per tutta quella estate, poi sono volata a Londra.
Lì sono stati il risveglio in un ospedale, e un master in teorie dell'arte contemporanea in un college che viene leggittimamente ritenuto sperimentale, il Goldsmiths, a poter mettere in discussione un bollino di critico d'arte che calzava strano.
Perchè mi confrontassi con la verità, quasi banale, che chi vuole scrivere è prima uno scrittore, e di che cosa voglia scrivere è una decisione che arriva per seconda, e che al confronto mi pare di valore minore.
Di quella cura testarda avuta nella scelta delle parole, che mi costava ore di fronte allo schermo del computer, gli articoli di exibart ne conservano ancora il sapore, nostalgico e acre.
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1 commento:
Piccola curiosità: perchè le inaugurazioni di mostre d'arte vengono chiamate "vernici"? E' la traduzione letterale di "vernissage" (non parlo francese)?
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