Avevi gli occhi arrossati ed eri ancora commosso, poi ti sei offerto di lasciarmi la tua giacca di lana pesante prima d’andare, perché volevi che la indossassi per la notte, avrai qualcosa di mio, se avrai paura, dicevi.
Credevo che l’avessi detto perché avevi capito che quella notte sarei andata incontro ad uno dei miei scarecrow e volevi farmi sentire protetta. Declinando ho voluto mostrarti e a me stessa che in futuro non avresti dovuto farmi da padre.
Anch’io potevo essere una guerriera, e tenerti per mano sul sentiero che percorriamo insieme incontro alla vita, invece che sederti ancora in grembo, come una bambina.
Mentre tu eri via da Milano, a respirare in quel paradiso di campagna veneta, avrei affrontato da sola, e di notte, uno scarecrow che figura tra i miei più minacciosi.
L’avrei fatto quella notte, niente più attese, perché la malattia mi faceva sentire invincibile al sonno e alla paura, almeno finchè restavo al chiuso della mia piccola stanza verde e accogliente come un baccello.
Come le urne pregiate finiscono svilite dal turismo museale, anche l’epilogo di questa storia è stato diverso dal trionfo giallo-fucsia haringiano della mia immaginazione.
Al mattino successivo non ero vittoriosa di fronte ad una tribù di vichinghi e apache piumati. Non erano riuniti insieme fuori dalla finestra della mia stanza-baccello per la giusta celebrazione del mio coraggio di pipistrello.
C’era mia sorella invece, me la ricordo seduta sul bordo del mio letto bagnato d’urina - ricordo il suo volto apprensivo - e c’era il sorriso di Viromar che batteva una mano sul petto ritmicamente per me, per ricordarmi di tenere regolare il respiro e il battito del mio cuore provato dall’insonnia protratta.
Non c'era Luna, ma ricordo la sua voce al telefono che incomprensibilmente faceva riferimento alla nostra conversazione durata quattro ore lunghe come loop, diceva e poi che era come se avessi una gamba rotta da far curare.
Traeva la conclusione che dovessero portarmi al pronto soccorso al più presto.
La mia conclusione era che avesse tradito il nostro patto d’alleanza contro gli scarecrow. La storia della gamba rotta suonava come un bluff a buon mercato.
Giorni dopo Luna mi ha detto con nonchalance quel che aveva pensato a proposito del racconto su mio padre che avevo tirato fuori quel pomeriggio.
Sulla strada per l’eden veneto, allontanandosi dal parco e da me, aveva pensato che il ricordo di quelle lacrime in balcone non asciugate, poteva essere un ricordo pesante da portare con me.
Mi veniva da ridere, forse. Le parole di Luna erano appena state per me una seconda somministrazione di nonsense amaro che quel ragazzo che fin qui ho chiamato Le Pleiadi mi aveva rifilato due anni prima. E finalmente avevo capito la portata del mio fraintendimento, anche con Luna.
Winehouse like I cheated myself, like I knew I would.
Dopo, dentro di me era la monarchia del senso di disillusione dell’apache - abbandonata dopo la sconfitta – e nei giorni seguenti ho calpestato come un tappeto da bagno quel che era rimasto del legame tra me e Luna. Viva la nonchalance.
Ora è ora. La monarchia ha vita breve nel mio cervello-stomaco polifonico ed io domando al Luna-me che mi abita dentro Hai avuto paura?
Probabilmente aveva avuto paura già Le Pleiadi, della mia spada sguainata contro uno scarecrow piantato nella mia memoria, che ero decisa ad affrontare.
Mi chiedo se la parola affrontare sia tanto energica da proiettare l’ombra lunga d’un gesto d’evirazione.
Ma il misreading non sarebbe negli occhi del lettore-maschio-bianco-occidentale, in questo caso, più che un errore nella mia penna, se secondo il Thesaurus con affrontare io sto in un’ area semantica diversa e non è come se avessi scritto estirpare, sradicare, togliere, divellere, asportare, annientare, abolire, annullare, vincere, debellare.
Affrontare ha il sapore della battaglia, si faccia da parte chi non vuol vedere, perchè posso vivere senza la codardia di uno sguardo basso al mio fianco.
Come la scherma e le arti marziali sarà la mia battaglia, dove il nemico si guarda levisianamente negli occhi, per conoscere ed esorcizzare, perché chi guarda nel volto dell’altro, non uccide.
Per diventare un’adulta e guadagnare il posto di apache al banco dei capi tribù, perchè la donna sia tale finalmente e non resti prigioniera della bambina è necessario che la solitudine e l’abbandono non mi facciano più paura.
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